L'ex allenatore della Fiorentina, Cesare Prandelli, ha rilasciato alcune dichiarazioni a La Gazzetta dello Sport, parlando ovviamente del suo trascorso a Firenze e degli allenatori italiani del momento.

Queste le sue parole:

Abbiamo sempre i migliori allenatori al mondo?

“Siamo giudicati dai risultati: allora la risposta è sì. La scuola di Coverciano è stata un punto di riferimento, poi con la globalizzazione lo scenario è cambiato, non ci sono più scuole nazionali ma tutti fanno tutto. Però gli italiani hanno mantenuto la loro prerogativa: va bene schemi e sistemi, ma hanno un pensiero elastico, sanno sfruttare le caratteristiche dei giocatori. Ma non nel calcio giovanile. Da 8 a 15 anni. I giovani devono essere liberi. Oggi non abbiamo più centravanti e dicono che la colpa è degli stranieri. Ma quando mai. Il problema è che ci sono allenatori un po’ psicopatici che sgridano il bambino se tenta un dribbling, gli chiedono di fare la sponda e di giocare con la squadra… è come se un maestro cercasse di insegnare fantasia e imprevedibilità a un artista. Il maestro non deve limitare, deve far crescere".

Tra i grandi non è così?

“Per fortuna. Il pensiero non è radicale. I giovani arrivati in alto sono cresciuti con idee interessanti. Una volta Sacchi creava problemi: non lui, un visionario, il più grande, ma chi voleva copiarlo. E sa cosa è successo? Sono scomparse le mezzepunte”.

Dionisi ha ricevuto un’eredità impegnativa da De Zerbi.

“Dionisi l’anno scorso ha fatto benissimo nel Sassuolo e anche quest’anno ha superato brillantemente qualche problema, in particolare l’assenza di Berardi. Non si fossilizza su un sistema, cambia se serve”.

Per stile non somiglia un po’ a Prandelli?

“Mi piace come si presenta. È equilibrato. Commenta con onestà le partite, dice cose interessanti, si prende le responsabilità. Per far bene deve avere il Sassuolo al completo per poi scegliere i 13/14 titolari. Senza Berardi gli manca quello che dribbla, cambia fascia, lancia da quaranta metri. Per fortuna nessuno da bambino gli ha detto “non dribblare”. Pensi al Milan senza Leao: quando parte non c’è uno schema, lui libera la sua corsa e travolge gli avversari. Bravo Pioli ad esaltarlo”.

Thiago Motta è stato un suo giocatore: era già un tecnico?

“Thiago meritava 10 per personalità. Non aveva mai bisogno di alzare la voce. Vede il gioco come pochi, ha coraggio nei cambi, valorizza i giovani”.

Non le sembra che nello Spezia si capisse poco il suo gioco?

“La traccia era quella: verticalizzazioni, triangolo che ruota con gli esterni. Se però non hai tanti giocatori adatti fai fatica a esprimere certe idee. Thiago è un allenatore fatto e finito. Ha preso qualcosa dai suoi tecnici, forse anche da me, ma i grandi come lui non copiano: elaborano con personalità. “Rubano” per essere sé stessi”.

Palladino: al debutto contro la Juve sembrava allenasse il Monza da anni.

“Bravi i dirigenti, hanno capito che era pronto. A volte i campionati giovanili sono più impegnativi. Ha preso in mano una squadra in una situazione mentale pessima, ha proposto nuove soluzioni e dato tranquillità. Molto maturo”.

Dicono: non ha fatto gavetta.

“Ha subito messo in pratica le sue idee non banali. A chi dice che ha fatto poca gavetta rispondo che basta un anno. E si vede che Palladino studia da come cambia gioco in partita e ruoli ai giocatori. Tutti ne possono ricoprire più di uno: Jorgensen, nella mia Fiorentina, ha fatto tutto tranne il portiere”.

D’accordo nel pensare che il giovane che oggi fa da punto di riferimento è De Zerbi?

“Lui ha qualcosa di speciale, s’era visto nel Benevento il cambio radicale. Il suo calcio è propositivo, collettivo, entusiasmante. Da grande club. Ma Thiago, Palladino e Dionisi hanno dato una bella organizzazione a Bologna, Monza e Sassuolo. Il che significa che tutti i giocatori sanno cosa devono fare, lasciando la fantasia a chi ce l’ha. È quello che ha fatto meravigliosamente Spalletti al Napoli: è sempre stato bravissimo, qui ha avuto i giocatori perfetti per esaltare il suo calcio”.

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