Ciò che proviamo dentro, viene trasmesso all’esterno. Il mondo è un nostro riflesso. Dunque, lo stile di gioco deve essere funzionale allo spirito dei calciatori. Deve essere il loro strumento di espressione. La fonte permane in loro stessi. Conta l’ambiente. Conta il contorno. Ma sono abbellimenti, come i bassorilievi, le colonne, le vetrate e gli affreschi dentro ad una cattedrale. Sono abbellimenti che rendono, gradevole, la visione ai passanti. Ma non devono distrarre dalla forza e dalla stabilità della struttura. Anzi, devono essere loro ad invitare chi che sia ad osservarla e apprezzarla. Si parla di “giochisti”, come se l’Italia non avesse mai giocato a calcio. Ciò potrebbe anche essere sintomo di una perdita di identità culturale. Comunque, Bielsa, visto che tutti i grandi fautori del “Nuovo Calcio” ne sproloquiano sopra, disse, ai tempi del Bilbao, che una squadra debba credere nel proprio cammino e nello stile di gioco “qualunque esso sia. Tenere palla o farla tenere agli avversari”. Forse “giochista” è chi pensa alla gestione di quel gruppo del quale dispone, cioè, d’altro canto lo dice la deontologia del bravo allenatore, ascoltare e comprendere le necessità dei giocatori. Un tecnico che antepone se stesso non fa il proprio lavoro. Persino Guardiola, altra figura calcistica su cui si sproloquia, ne parla per lunghi tratti in un’intervista di anni orsono. Quindi, l’Italia, sotto questo “reale” punto di vista, è sempre stata “giochista”.
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