Il problema non è solo di Firenze. Milano, Roma, Cagliari, Napoli, per limitarsi a solo alcuni capoluoghi: provando a “guardar lontano per veder vicino” si scopre che in tutta Italia gli stadi sono a un punto morto. Quasi nessuno di proprietà, tendenzialmente molto vecchi, obsoleti quando non fatiscenti, sempre più vuoti. Già prima del Coronavirus gli stadi avevano iniziato a praticare un sostanziale distanziamento sociale. Salvo rare eccezioni, il confronto è impietoso tra le squadre della massima serie italiana e quella inglese. Ci sono impianti che faticherebbero a tenere il passo anche di quelli di squadre di Championship. Sicurezza, sostenibilità e accessibilità. Sono questi i motivi che spingono Milan e Inter a volere un nuovo stadio. Un progetto altamente innovativo in puro stile meneghino. Il sindaco Sala è venuto a più miti consigli dopo un’iniziale ritrosia rimarcando però che si tratta di un progetto “divisivo”. Si gioca nel frattempo tutta una partita sul decodificare le parole sibilline della Soprintendenza. “Lo stadio Giuseppe Meazza (San Siro) – si legge – non presenta interesse culturale e come tale va escluso dalle disposizioni di tutela”. Un modo per dire che non ci sono vincoli ma non che si possa disfare San Siro a piacimento. E infatti c’è già subito appostato il Comitato coordinamento San Siro pronto da dare battaglia in punta di diritto. Tormentata pure la storia del Cagliari, costretto a giocare nella Sardegna Arena dopo aver abbandonato il decrepito Sant’Elia e dopo una peregrinazione improbabile tra Trieste e Quartu Sant’Elena. Il nuovo progetto potrebbe prendere corpo a breve ma senza le aree commerciali. Una scelta della società in questo caso per non danneggiare l’economia del territorio. Al di là di quelle che possono essere le particolarità locali. La proposta Di Giorgi è stata fulminata. Resta però la necessità di intervenire a livello centrale. Commisso ha lanciato una task force per gli stadi. Il presidente si è rivolto allo studio Chiomenti, con sedi a Roma e New York. Uno studio potente dove collabora, tra gli altri anche Giulio Napolitano, professore di Diritto amministrativo a Roma Tre e figlio di Giorgio, che annovera tra gli ambiti di intervento il diritto sportivo. Un’azione di lobbying calibrata e sottotraccia che punta a radunare tutte le squadre di A che chiedono una svolta. L’unica spada di Damocle è capire cosa resterà dello sport dopo la pandemia di Coronavirus. Accettando la narrazione dell’OMS, questa sarebbe la prima di nuove pandemie. Chi investirebbe con queste condizioni?
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