Undici calciatori di Serie A positivi al Coronavirus. Gabbiadini, Colley, Thorsby, Ekdal, La Gumina, Bereszyński, De Paoli della Sampdoria. Rugani della Juventus. Cutrone, Pezzella e Vlahovic della Fiorentina. Fino ad una settimana fa però era tutto normale. Come se nulla stesse realmente accadendo nel mondo e in Italia. Come se per 90 minuti i morti, malati, le fatiche dei medici semplicemente sparissero senza poter scalfire l’alterità del mondo del pallone. Nel frattempo arrivavano messaggi sempre più contraddittori dai decisori del calcio. Si gioca, non si gioca, porte chiuse, socchiuse o semiaperte, in chiaro o chiaroscuro. Si gioca, non si gioca, non si sa fino a un quarto d’ora dall’inizio della prima gara, poi rimandata di oltre un’ora. Sembra la rotta dell’8 settembre che Beppe Fenoglio descrive così: “Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi – non sparare sui tedeschi – non lasciarsi disarmare dai tedeschi – uccidere i tedeschi – auto-disarmarsi – non cedere le armi” (cit. Primavera di Bellezza). Fino ad una settimana fa però il calcio era magicamente immune, poteva perdersi in chiacchiere. Adesso non più. La pandemia non fa sconti, nessuno escluso. Il numero di contagiati è chiaramente irrisorio rispetto ai numeri reali del contagio. 17.750 malati (2.795 da ieri), 1.441 vittime in Italia. Quella di oggi è però una doccia gelata e un bagno di realismo al contempo. La Fiorentina già nei giorni scorsi aveva (giustamente) sospeso le attività ma non tutte le squadre di Serie A, lo denuncia anche AIC con una nota durissima, si sono allineati. Il raziocinio sembra prevalere, anche il calcio ha preso coscienza dell’entità del problema, come negli italiani che si chiudono in casa. Qualcuno, come una frazione minoritaria degli italiani, si ostina però a proseguire la vita normale con convocazioni e allenamenti (a piccoli gruppi) esponendo i giocatori e gli operatori a rischi inutili. Azioni evitabili perché al limite di quanto prescritto dal DPCM. Fatto è che, al netto dell’olimpo dei calciatori, quella del calcio è un’azienda strategica per il Paese. Anche perché negli anni è proliferato intorno al calcio è proliferato un microcosmo di professioni nei settori più disparati (match analist e non solo). Il fermo dei campionati ha sicure ripercussioni su posti di lavoro e indotto. Sulle società sportive più piccole ma basilari per la creazione dei talenti del domani. Dice bene Paolo Mangini, presidente del CR Toscano: “Serve un intervento choc a sostegno delle società sportive”. Su questo è opportuno che gli organi del calcio, anziché bisticciare, inizino a pensare. Seriamente.
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