Accorciare, intensificare e consumare. Il calcio produce corpi. Destinati a durare poco, ma ad essere sostituiti con prontezza. Creare una normalizzazione e una produzione in serie. Non esistono giocatori come Vlahovic? Esisteranno. E' solo una delle tante chimere. L'economia del calcio è legata all'abbassamento della qualità dei giocatori. L'uso della competitività, come principio invasivo della catena di controllo, ne rappresenta il motore. Avere giocatori con uno sviluppo cognitivo limitato dal lavoro delle restrizioni e delle ripetizioni abbassa i costi. Da piccoli vengono inseriti all'interno di un ciclo produttivo, vengono trattati come materiale grezzo da plasmare: dall'esterno verso l'interno. Il non far scoprire, squalificare la parvenza di inclinazioni innate e naturali, è la tecnica e, allo stesso tempo, il risultato che inizia, innestandosi al principio, quasi prima che il tutto si palesi, con la suddivisione tra reale e immaginario. Infine, mantenendosi attraverso l'inserimento all'interno di una condotta ben precisa. Vlahovic viene fuori da questo. La sua alta competitività non è solo la chiave del suo carattere, ma anche la chiave di tutto quel che sta facendo. Competere, competere, competere. Essere il migliore all'interno di un insieme. Tutto porta a riconoscersi in una classe che non è quella in cui si trova adesso. Però nasconde anche un'altra faccia: squalificare l'innato e il naturale, rendere reale la coscienza di un unico binario da seguire, canoni di scelta, premi per il migliore, avanzamento del migliore, la struttura piramidale del calcio. Tutto questo può essere attestato da una figura come il procuratore, o venditore porta a porta o corriere dei calciatori. Figura intermedia che smista le merci, tenendo conto della classe a cui appartiene una società calcistica. Classe che deve rispecchiare in toto le qualità del prodotto. Insomma, la domanda deve corrispondere all'offerta. Il calciatore non si ribella, perché a lui questa appare come realtà, come verità assoluta. Cresce secondo questi princìpi. “Adesso vai nelle scuole calcio e tutti hanno i kit uguali e acquistati. Prima il kit dovevi meritartelo, era un punto di arrivo”, citando Giampaolo (ex allenatore tra le altre del Torino). I costi si abbassano e il merito non è indossare una maglia. Ora si vuole ricevere. I bambini sono addestrati a ricevere. Le scuole calcio simboleggiano dei passaggi, dei livelli. Servono solo a prelevare campioni e poi tutta la nidiata, o a farla disperdere. Ognuno, comunque, in apparenza, correttamente collocato. 

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