Il match del Franchi conferma che l’ideale estetico-calcistico italiano precluda il gusto del bello. Fiorentina-Milan è stata tutto tranne che una “bella” partita. Ieri hanno dominato gli scontri fisici, le palle lunghe, gli errori individuali, le giocate individuali. Nessuna manovra costruita, nessun fraseggio. Quasi che i giocatori si fossero scordati cosa fosse passarsi il pallone. Sembrava una partita di fine ‘800, dove la filosofia del “kick’n’rush” faceva da padrona. Pure i moduli rispecchiavano quegli anni: 3-2-5/3-1-1-5 per Pioli e 6-3-1/6-4-0 per Italiano. La Fiorentina ha azzeccato “l’idea” della partita da fare: d’attesa. Ma non ha sfruttato il solito, eterno, errore che il tecnico dei rossoneri si porta dietro dai tempi di Bologna: la distanza dei tre difensori dal centrocampo. Distanza abissale. Qui avevano un compito importante le mezze ali della viola: attaccare quello spazio vuoto. Nella realtà non è stato così. Almeno non del tutto. Infatti, sono state sbagliate molte uscite e, di conseguenza, molti capovolgimenti di fronte. La chiave della partita era il recupero palla. I centrocampisti, soprattutto nelle figure di Bonaventura e Duncan, dovevano essere l’arma in più. Dare a Vlahovic lo scarico, la linea di passaggio, d’appoggio per poi andare a convergere verso la porta . Situazione che, già da come viene narrata, doveva essere costruita attraverso dei fraseggi. Fraseggi che si sviluppassero in una zona esterna per poi portare alla convergenza. Nulla di tutto ciò. Se qualcuno pensasse ad un opinione contraria è invitato a guardare l’Angers di Baticle o, forse più conosciuto, il Chelsea di Tuchel. I contropiedi hanno dei criteri, delle situazioni studiate e praticate. La qualità del sistema sommata a quella cognitiva dei singoli giocatori porta a due principi, tra loro anche opposti: occupare lo spazio vuoto e orientare il pallone. Ieri si è visto solo qualcosa che ricordasse un gegenpressing e tanta animosità per niente.

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