
La speranza è, al contrario di ciò che pensiamo, l’ultimo dei mali che Pandora ha fatto uscire da quel vaso. Essa è la morfina della vita: allevia il dolore e crea dipendenza. La leggenda di Davide contro Golia fa gola a tanti, ma rappresenta solo la maschera della scaramanzia e della fortuna. In Italia dovremmo avere più audacia e non sperare di partire sempre da battuti. Solo perché potremmo “lavarcene le mani”, casomai si avverasse la disgrazia, con “Ma io non ci avevo creduto”? Invece dei cartomanti, dei veggenti e del gossip dovremmo renderci coscienti e abbattere la paura. Non si fa, però, come già si è visto contro Spagna, Belgio, Galles, Svizzera e Turchia, ostentando superiorità, quando un occhio nella norma vedrebbe ben altro che belle figure, ma rispettare l’avversario. Rispettarlo come? Dando “a Cesare ciò che è di Cesare”, cioè riconoscere le sue qualità e apprezzarle. La sportività è questo. E ci si divertirebbe di più così. Invece, anche stasera, “spereremo” nella disfatta degli altri. Poi il contegno è un’altra utopia. L’identità di un popolo sta nella coerenza incisa nei suoi caratteri. Dunque, perché dovremmo pensare a difenderci, timorosi, dalle reazioni altrui? Forse non siamo orgogliosi di essere italiani? O forse lo siamo quando tutto fila facile e liscio, mentre quando il gioco si fa duro ci vendiamo a vicenda e ci azzuffiamo? L’inno di Mameli incita al coraggio e non alla codardia o, peggio, alla prostrazione.