Dodo, Palladino e Kean (Photo by Timothy Rogers/Getty Images via One Football)
Il 30 maggio Raffaele Palladino lasciò la Fiorentina e un contratto garantito di due anni, con un rinnovo depositato poco più di 20 giorni prima e l’Europa appena riconquistata sul campo. Una scelta inusuale, mai spiegata pubblicamente fino a oggi alla Gazzetta dello Sport in un'intervista.
Allora, qual è la versione di Palladino?
“Io intendo il calcio come un puzzle, tutti i pezzi si devono incastrare per funzionare. Sono orgoglioso del lavoro fatto a Firenze, ma non c’erano più le condizioni per andare avanti insieme. Idee e visioni troppo differenti”.
Eppure il 7 maggio, alla vigilia della semifinale di ritorno col Betis, la società aveva attivato la clausola per il prolungamento di contratto.
“Me lo ricordo bene quel giorno. Sul momento mi aveva fatto piacere, ma ragionando poi a mente fredda, sentivo che restare non era più possibile. E questa sensazione me la portavo dentro da un po’”.
“Non sono mai stato nella mia carriera legato a soldi e contratti. Non avevo nulla quando ho deciso di lasciare la Fiorentina e il tempo lo ha dimostrato. Anzi, per una settimana non ho nemmeno risposto ai messaggi”.
Le hanno scritto pure i suoi giocatori?
“Tutti. Non se l’aspettavano, avevo parlato solo con il mio staff e poi direttamente con la società. Devo dirlo: le videochiamate e i messaggi dei ragazzi mi hanno fatto piangere. Con loro ho vissuto momenti belli e altri molto difficili, per questo si è creato qualcosa di speciale. Infatti ci sentiamo ancora oggi”.
Il giorno più bello a Firenze?
“Ne dico tre: le vittorie in casa contro Milan, Inter e Juventus. Serate indimenticabili per la città. E sì che abbiamo sempre giocato con quasi mezzo stadio chiuso per i lavori...”.
Tra i momenti brutti, la paura per ciò che è successo a Edoardo Bove.
“Uno choc. Rischiare di perdere per sempre un pezzo di noi è stato tremendo e in spogliatoio c’era chi non voleva manco più allenarsi. Per fortuna un miracolo ha salvato Edo, poi ci è voluto un lavoro psicologico delicato per ricominciare tutti insieme. E qui Bove è stato semplicemente fantastico: veniva al Viola Park, ci dava la carica, era sempre con noi. Per me è diventato come un fratellino”.
Tornerà a giocare a calcio?
“Lo spero davvero. Edo vive per il pallone e deve mettercela tutta per rientrare. Ma anche se non dovesse accadere, lui sa che un domani avrà un posto sicuro nel mio staff”.
Ci spiega come ha fatto a trasformare Kean da un attaccante da 0 gol nel 2023-24 a un bomber da 25 reti nel 2024-25?
“Avevamo una scommessa fissata a quota 15: l’ha vinta lui. Con Moise è scoccata una scintilla, lo volevo già a Monza ed è stato il primo nome che ho fatto, insieme al dt Goretti, quando sono arrivato a Firenze”.
Moise Kean (Photo by Timothy Rogers/Getty Images via One Football)
Più difficile fare 65 punti alla Fiorentina o 52 al Monza?
“Resto legato al mio primo anno a Monza, ma dico i 65 a Firenze. Non avevo mai allenato in Europa e in mezzo c’è stata una rivoluzione, con 19 calciatori cambiati in due sessioni di mercato”.
Adriano Galliani lo sente ancora?
“Devo molto a lui e a Berlusconi. Mi hanno permesso di allenare in Serie A. La fortuna di un tecnico è avere un grande direttore alle spalle e viceversa. Io con Galliani mi trovavo su tutto: dal lavoro quotidiano al mercato. Altrove non funzionava così...”.
Lei lascia Monza e la squadra retrocede. Poi se ne va da Firenze e la Viola non se la passa benissimo. Che vuol dire?
“Che porto fortuna (ride). A parte gli scherzi, vedere il Monza in B mi spezza il cuore e mi auguro anche che la Fiorentina possa tornare a fare bene”.
Che fa Palladino oggi?
“Studio l’inglese, vado allo stadio e con il mio staff analizzo tutte le partite di Serie A: dobbiamo tenerci pronti”.
Chi l’ha colpita in questo inizio di campionato?
“Giovane del Verona. Lo volevo alla Fiorentina a gennaio, ma il club ha fatto altre scelte”.