Meri oggetti destinati al consumo. Questa è la definizione del calciatore. Il calciomercato rappresenta una regolamentazione del commercio umano.
Abbiamo tutti un valore. Nessuno ne resta fuori. Ognuno con le proprie opinioni, ma tutti incoscienti. Le discrepanze non esistono. Le ingiustizie nemmeno. Ma le convinzioni… Quelle sì, esistono. Sono l’unico metodo esatto di constatazione.
Se il mondo è il nostro riflesso, noi aspettiamo dagli altri dubbi e affermazioni che già indugiano in noi.
I calciatori vedono il calcio non come uno stile di vita, cioè una filosofia (perché questa sarebbe la definizione, lo dice Schopenhauer), ma come un’arte fine a se stessa ed eccentrica nell’estetica.
La morale e l’estetica, in qualunque ambito, le due nemiche per eccellenza della volontà. La prima cela e la seconda abbellisce il luogo in cui giace la vittima. È nelle acque limpide che si deve guardare (cit. Nietzsche).
Dunque, non è nell’oscurità che si troverà il misfatto, ma nel bianco candido della spacciata perfezione.
Davanti agli occhi tutto appare irrefrenabile, duro e perpetuo. Nella realtà, cioè quando ascoltiamo un attimo, possiamo renderci coscienti dell’opposto e renderlo vero. Vero come? Attraverso l’applicazione di un semplice principio innato: la convinzione.
Perciò il calcio non è cuore, la giocata è arte e il mestiere del calciatore ha perso valore.
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