Lo sviluppo cognitivo dei calciatori viene disciplinato non alla dimensione, ma alla direzione. Vengono addestrati a valutare il punto da raggiungere, attraverso un movimento mnemonico ottenuto da esercizi disciplinari ripetitivi.

La sensibilità e la spazialità, enti correlati tra loro, sono squalificati, cioè valutati come innecessari. Al contrario, si qualificano la velocità e la distanza.

Dunque, un “principio di sintesi”, che si propone di semplificare lo spazio, e, associato, un “principio di competitività”.

Quest’ultimo è, forse, le fondamenta del calcio contemporaneo. Esso compatta e, quindi, chiude, serra e limita in un campo conoscitivo.

La sintesi garantisce un accorciamento del tempo, ma, tale accorciamento, può avvenire soltanto attraverso una limitazione dello spazio.

Perciò, adesso, si comprende il motivo per cui la direzione ha sostituito la dimensione.

Tornando al discorso precedentemente aperto e verso cui vogliamo volgere al termine: i calciatori sono addestrati a valorizzare il punto da raggiungere. Non altro.

Infatti, se avessero sviluppato la spazialità, conoscerebbero il segmento stesso, la direzione e la posizione.

La scelta della qualificazione che, ormai, possiamo chiamare del “punto-punto”, comporta una separazione e una esclusività nel campo visivo. I calciatori corrono da A a B il prima possibile, senza considerare diversificazioni.

In realtà, poiché il campo conoscitivo è limitato, bisognerebbe parlare di differenza e differenziazione. La diversità espone qualcosa esterno all’insieme e, dunque, ingiudicabile.

Il giudizio si ha soltanto nella ristrettezza, come individuazione, paragone e valutazione.

Nel compiere i movimenti mnemonici del metodo (“sistema” se discutessimo al di là dei confini italiani), il calciatore non sa che esista uno spazio dal punto di partenza a quello d’arrivo.

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