Roberto Mancini (Photo by Robert Cianflone/Getty Images via One Football)
L’ex tecnico della nazionale italiana Roberto Mancini ha rilasciato una lunga intervista a Transfermarkt, parlando anche del rimpianto di aver lasciato la guida degli azzurri.
In quale campionato ti sei divertito di più ad allenare?
“Ogni campionato è speciale. Ho apprezzato molto la Premier League, e gli anni passati nel Regno Unito sono stati davvero eccezionali. Ogni allenatore sogna la Premier. Detto questo, conservo bei ricordi delle esperienze in Turchia, Russia (con lo Zenit, ndr) e Arabia. Nel calcio moderno è importante conoscere culture, tradizioni e mentalità diverse, per poter gestire al meglio uno spogliatoio internazionale”.
Negli ultimi tre anni, i club della Serie A hanno spesso raggiunto le finali europee, ultima l’Inter, ma si continua a parlare di crisi del calcio italiano. Da cosa nasce, secondo te, questa percezione?
“La Serie A sta vivendo un cambiamento radicale nella mentalità e nella struttura. È finita l’epoca dei patron che investivano per passione. Oggi il calcio è un business internazionale e la proprietà dei club riflette questa realtà. Per avere successo, tifosi, stampa e l’intero sistema devono comprendere e adattarsi a questo cambiamento fondamentale”.
Quale squadra, quest’anno, ha espresso un calcio che hai ammirato particolarmente?
“In Italia, Bologna, mentre all’estero il PSG, per il mix di giovani talenti e lo spirito di gruppo”.
Hai ammesso di aver rimpianto la decisione di lasciare la Nazionale, ma hai anche notato progressi con la nuova era azzurra. Quanto manca all’Italia per tornare competitiva a tutti i livelli? Quali sono i fattori chiave?
“Ho rimpianto di aver lasciato l’Italia e col senno di poi ho capito l’errore. Sono errori da cui ho imparato e che non ripeterò. Allenare una Nazionale è diverso: non hai i giocatori ogni giorno per farli crescere. Ma devi dare un’identità alla squadra e creare un’alchimia tra giocatori che non giocano abitualmente insieme. Bisogna creare un gruppo unito e vincente”.
Hai lasciato il Galatasaray senza chiedere alcun indennizzo, gesto raro nel calcio moderno. Cosa ti ha spinto a farlo? Se arrivasse l’opportunità giusta, prenderesti in considerazione un ritorno in Turchia?
“Sì. Il calcio è una passione, io vivo per la passione. Ovviamente è anche un lavoro, ma non è l’aspetto economico a motivarmi. Ho amato il mio periodo in Turchia, perché è guidato da una passione pura”.
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